Stipendio più basso? La causa potrebbe essere data dai giorni di assenza al lavoro. Ecco spiegato il tutto.
Può capitare che nel corso del mese ci si assenti dal proprio posto di lavoro per svariate cause ma che generalmente le giornate non lavorate vengano comunque pagate in busta paga. Ma ciò è grazie a ferie e permessi, che consentono al lavoratore di assentarsi mantenendo il diritto, a tutto o una parte, alla retribuzione.
Tuttavia, ci sono delle giornate di assenza che non vengono pagate al lavoratore, riducendo così l’importo dello stipendio. Questo potrebbe essere la causa di ritrovarsi meno soldi in busta paga.
Innanzitutto dobbiamo distinguere le assenze non retribuite in due diversi insiemi: da una parte quelle che il lavoratore non può giustificare con una valida motivazione. Dall’altra quelle che riferiscono ad assenze che pur essendo giustificate fanno riferimento a permessi o aspettative non retribuite.
Assenze da lavoro e busta paga dimezzata: ecco perché
Partendo dal principio, quindi, non è retribuita e non è coperta da contribuzione l’assenza ingiustificata, ossia quella che com’è facilmente intuibile dal nome non presenta una valida giustificazione. L’assenza ingiustificata è quando il lavoratore non avverte l’azienda con dato anticipo della sua non presenza al lavoro e che non riesce neppure a fornire una valida documentazione del perché ciò non è stato fatto.
Si tratta della forma di assenza più grave, dal momento che laddove fosse reiterata potrebbe rappresentare una valida motivazione per far scattare il licenziamento per giusta causa. Troviamo poi i i permessi non retribuiti, che pur non prevedendo alcuna retribuzione in busta paga consentono perlomeno di giustificare l’assenza, scongiurando così il rischio di essere licenziati. A tal proposito, rientrano in questa categoria:
- permessi per la malattia del figlio, senza alcun limite nei primi 3 anni di vita del figlio, mentre tra i 3 e gli 8 anni ne spettano 5 giorni l’anno per ogni genitore.
- aspettativa non retribuita richiesta per gravi motivi personali: che ad esempio può essere richiesta in caso di infermità del coniuge, del convivente o di un parente fino al II grado. Sono comunque i singoli Ccnl a indicare più specificatamente le ragioni per cui il lavoratore può usufruirne.
- aspettativa richiesta per lo svolgimento di altre attività, quali attività formative oppure per svolgere una carica pubblica elettiva, per fare volontariato.
Ci sono poi delle forme di permesso che consentono di mantenere il diritto alla retribuzione quanto al posto di lavoro ma che comunque riducono lo stipendio. In queste giornate, infatti, al dipendente è riconosciuta una quota parziale della retribuzione solitamente percepita. È il caso, ad esempio, di:
- permessi per malattia, l’indennità Inps è pari al 50% della retribuzione dal 4° al 20° giorno di malattia, al 66,66% dal 21° al 180° giorno.
- congedo di maternità, che è pagato all’80% della retribuzione ma per il quale vale lo stesso discorso fatto per l’indennità di malattia. Ci sono Ccnl in cui le aziende devono farsi carico della quota mancante, non prevedendo così alcuna differenza rispetto al periodo lavorato.
- congedo parentale è retribuito al 30% della retribuzione e nemmeno tutti. Ma sono retribuiti un massimo di 9 mesi di congedo, per un massimo di 6 mesi per genitori. Quelli che eccedono a questi limiti non sono retribuiti. Ricordiamo però che per chi rientra dal congedo di maternità nel corso del 2024 i primi 2 mesi di congedo sono retribuiti all’80%.
Questo è tutto quello che c’è da sapere in merito. Ma per ulteriori dettagli puoi consultare i rispettivi canali telematici.